L’umanità della liturgia
Concludiamo questa rubrica con la quale, a partire dallo scorso mese di ottobre, abbiamo provato a delineare un percorso storico-liturgico-pastorale in preparazione alla ormai prossima celebrazione della 75ª Settimana Liturgica Nazionale nella nostra Arcidiocesi.
A volte la liturgia “pare astratta”, ma è solo perché noi la teniamo fuori dal cuore e dalla vita, mentre essa chiede di entrarvi. Senza liturgia, cioè senza il nutrimento solido della Parola di Dio e il pane sostanziale dell’Eucaristia, senza l’azione dello Spirito, la consolazione del perdono e la gioia della fraternità il cristiano deperisce, degenera, muore. Sì, perché il cristiano è l’opera della liturgia; essa lo forgia, lo forma, lo custodisce. L’accedere alla liturgia per una vita intera è, infatti, ciò che tiene in vita il nostro “essere cristiano”, personale come comunitario. Non altro!
Se è vero l’antico adagio caro a Henri de Lubac, secondo cui non solo “la Chiesa fa la liturgia”, ma anche “la liturgia fa la Chiesa”, allora alla liturgia va riconosciuto il carattere fontale rispetto a ciò che la Chiesa vive. Ma se non si è capaci di mostrare quest’evidenza nel tessuto dell’azione ecclesiale, perché poi continuare a lamentarsi dello scarso rapporto vissuto dai credenti nei confronti dell’Eucaristia domenicale? La pratica della fede, il primo annuncio della fede, l’educazione alla fede possono forse fare a meno della “fede pregata”, cioè della liturgia, “eloquenza ecclesiale della fede”? L’incapacità mistagogica che contrassegna le nostre liturgie non dipende proprio dal fatto che la liturgia non è sentita come annuncio della buona notizia, come comunicazione del Vangelo, ma è piuttosto vissuta come qualcosa che compete al credente come una sorta di obbligo che fa parte della vita cristiana, ma che non ne è la fonte?
Viviamo celebrazioni senza pathos, senza incarnazione. «Eppure Dio non è noioso!», affermò padre Ermes Ronchi intervenendo alla Settimana Liturgica Nazionale del 2016. E stigmatizzò: «Credo che le chiese si svuotino per noia e per stanchezza; non per contestazione di dottrina o accuse alle istituzioni, non per scandali ma per stanchezze; non per i drammi della vita o per il rifiuto di Dio, ma per noia. Dio può morire di noia nelle nostre chiese. “Dio ucciso dalle nostre mestissime omelie” (David Maria Turoldo)».
Solo con un’attenzione e un’intelligenza che sappia cogliere l’umanità della liturgia è possibile accogliere in essa il “mistero della fede”. Si legge nel prologo del Quarto Vangelo: «Dio nessuno lo ha mai visto, il Figlio», l’uomo Gesù, «exeghésato, ce ne ha fatto il racconto» (Gv 1,18). Parallelamente, potremmo dire che solo nell’umanità autentica della liturgia si può trovare il racconto di Dio, perché la liturgia è l’exeghésato, qui e ora, per noi cristiani. Questo significa avere la capacità di tradurre in preghiera ogni grido d’aiuto, ogni rivendicazione, ogni fatica, perfino ogni apparente bestemmia, tutto vedendo con lo sguardo di Gesù, Uomo-Dio. Questo significa lasciare agire Cristo nelle nostre opere: che i suoi pensieri siano i nostri pensieri, i suoi sentimenti i nostri, le sue scelte le nostre scelte, affinché il cristianesimo non si risolva in mera filantropia. L’umanesimo cristiano non è semplice filantropismo!
La preghiera, allora, va vista come esercizio non meramente devozionale, bensì ermeneutico: esercizio di ascolto, di confronto e di discernimento. La ricerca di una liturgia più umana, però, non è l’incremento della dimensione etica della liturgia e, men che meno, un espediente di ordine pedagogico o didattico. Una liturgia più umana non è neppure l’ennesima strategia pastorale, destinata, a sua volta, a essere scalzata da quella successiva. L’umanità della liturgia è di ordine teologico ed è essenziale, dunque, se vuole essere davvero liturgia cristiana e non un mero rito religioso.
Dobbiamo impegnarci per una liturgia che ci aiuti a fare delle nostre celebrazioni quell’esperienza umana e umanizzante che sia sostegno delle persone affaticate e oppresse, consolazione per i provati e i feriti dalla vita, che sia capace di dare ragione per sperare. Sì, perché a volte la vita, come compito della liturgia umana, è offuscata e perfino contraddetta dal modo di celebrarla. Ma non è il caso qui di aprire il discorso… Purtroppo, dobbiamo solo riconoscere che – nel contesto dell’odierna cultura mediatica, la quale ha bisogno di alzare i volumi, calcare i toni, puntare sugli effetti speciali più che sulla sostanza – quando si cede alle mode festaiole, alla finzione della socialità e si trasforma la liturgia in uno show, non si consente al popolo di Dio d’incontrare il Signore e non si consente alla vita di circolare, di scorrere, di fluire, di essere trasmessa.
Su questo e su altro ancora rifletteremo e pregheremo, dal 25 al 28 agosto, a Napoli.
a cura dell’Ufficio Liturgico Diocesano